Gabbie salariali, quando la propaganda travolge il buonsenso
«L’introduzione di gabbie salariali non farebbe altro che replicare i meccanismi che ci hanno trascinati nella crisi economica: una crisi di bassi consumi, dalla quale non è possibile uscire se non puntando a salari più alti». Questa la secca replica della Funzione pubblica e della Fiom Cgil all’ipotesi avanzata da alcuni esponenti del centrodestra, e in particolare dal fronte leghista del Governo Berlusconi, che hanno rilanciato l’idea di introdurre le gabbie salariali sulla base delle differenze del costo della tra le diverse aree del Paese.
Secondo le statistiche pubblicate nei giorni scorsi dai media, nel Mezzogiorno la vita costerebbe mediamente il 17% in meno rispetto al Nord. «Strumentalizzare questo dato per giustificare l’introduzione delle gabbie salariali – dichiarano i segretari generali Carlo Podda e Gianni Rinaldini – è una rozza semplificazione non tiene conto del contesto reale: i redditi pro capite nel Sud sono strutturalmente più bassi che nel resto del paese; il Sud Italia vive tassi di disoccupazione drammatici, soprattutto tra i giovani e molte famiglie monoreddito vivono al limite della povertà. Per questo noi punteremo, sia per i lavoratori metalmeccanici che per il lavoro pubblico, a rinnovi contrattuali basati sugli aumenti retributivi, chiedendo al Governo di diminuire, già nella prossima legge finanziaria, l’ingiusta imposizione fiscale sul salario nazionale dei lavoratori. Aggiungere ulteriori barriere economiche in un paese già di per sé attraversato da ingiustizie cocenti potrà essere un’ottima trovata propagandistica per chi ha evidentemente puntato tutto sulla contrapposizione tra i gruppi sociali, tra gli individui, tra le generazioni, non certo una risposta ai problemi del paese. Una simile soluzione, semmai, finirebbe per aggravarli ulteriormente».