Sanità , il disegno di legge 70 non convince i sindacati: “Si rischia di esautorare il Consiglio”
Perplessità sul metodo del confronto con le rappresentanze sociali, ma soprattutto sul merito del disegno di legge 70, il secondo “step” del percorso di riforma della sanità intrapreso dalla giunta regionale. Nel documento presentato in occasione dell’adizione sul ddl, questa mattina davanti alla terza commissione del Consiglio regionale, Cgil, Cisl e Uil evidenziano diversi punti critici, sia nell’articolato presentato dalla giunta, sia per le modalità di un tavolo che, secondo i sindacati, è stato avviato senza dare al giusto peso alla diversa rappresentatività delle parti sociali coinvolte e con la scelta, giudicata molto grave, di non convocare le categorie dei pensionati dei sindacati confederali.
Ma è soprattutto il merito del disegno di legge a lasciare perplessi e preoccupare i sindacati. «Se il ddl vuole essere una sorta di legge delega – si legge nel documento di Cgil, Cisl e Uil – a noi sembra che il mandato che si intende conferire alla Giunta sia eccessivo, in quanto basato su una cornice priva di principi e criteri direttivi, di definizione temporale e di oggetti stabiliti e chiari entro cui la Giunta si possa muovere. Inoltre non vengono definite le forme di controllo sull’attività della Giunta da parte del Consiglio». Più che un mandato, secondo i sindacati, l’esecutivo si vedrebbe in sostanza lasciare carta bianca dal Consiglio, con la possibilità di smantellare un impianto, quello della legge 17/2014, che la prima legge di riforma approvata aveva confermato e che gli stessi sindacati avevano condiviso, pur nella consapevolezza, si legge ancora nel documento, di come gli obiettivi della riforma fossero stati attuati solo in piccola parte, «con riferimento soprattutto nella medicina territoriale, alla continuità assistenziale e all’integrazione socio sanitaria».
L’eccesso di delega denunciato dai sindacati riguarda in particolare l’articolo 12, «che affida alla Giunta – ricordano i sindacati – le linee guida dell’integrazione e dell’assistenza sociosanitaria, nonché la definizione della normativa regolamentare in materia sociosanitaria e delle modalità di coinvolgimento dei soggetti pubblici, privati e del privato sociale per la gestione della rete dei servizi». Perplessità anche sull’articolo 13, «che sottrae ai Distretti il ruolo di erogatore dei servizi territoriali, per affidarlo a un non meglio definito dipartimento di assistenza distrettuale che ha la funzione di produzione, consistente nell’erogazione dell’assistenza stessa». Un cambiamento, questo, che per i sindacati evoca una più che probabile entrata del privato, riducendo l’azione del servizio sanitario pubblico, l’unico che garantisce l’universalità delle prestazione e l’appropriatezza dei Lea, con conseguente spostamento degli interventi finanziari a favore del privato accreditato a scapito del servizio pubblico». Altri dubbi sull’articolo 14, «per la mancata definizione di che cosa è e deve fare l’assistenza medica primaria« e soprattutto sull’articolo 22, quello dedicato ai presidi ospedalieri di base, «che non menziona Cividale e non definisce, con l’unica eccezione di Gemona, ruolo e specialità dei presidi, senza neppure accennare a possibili riconversioni».
Al di là dei singoli punti del ddl, i sindacati rivendicano inoltre l’esigenza di investire su nuove assunzioni, «perché la quantità e la qualità della erogazione dei servizi è strettamente legata all’implementazione e alla valorizzazione del personale« e di una forte integrazione tra la riforma sanitaria e quella delle autonomie locali, «visto il fondamentale ruolo svolto dagli enti locali in materia di integrazione socio sanitaria». Richieste cui si somma l’appello per «un cambio radicale nelle relazione sindacali con la Giunta e anche con la III Commissione, perché – concludono Cgil, Cisl e Uil – per la rappresentanza che abbiamo ci spetta un ruolo di interlocutori veri in questo processo di riforma».